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S. Sabina

Temi > Chiese
S. Sabina all'Aventino
La Basilica paleocristiana di Santa Sabina è la più nota delle chiese situate sull’Aventino. Circondata da giardini, come lo spettacolare giardino detto degli Aranci, nonostante le trasformazioni costituisce ancora oggi uno dei più antichi ed affascinanti esempi dell’architettura cristiana dei primi secoli.
la storia
La basilica di Santa Sabina costituisce una delle chiese paleocristiane meglio conservate in assoluto; fu costruita da Pietro di Illiria tra il 422 e il 432, durante il pontificato di papa Celestino I, sulla casa della matrona romana Sabina che subì il martirio perché convertita al cristianesimo dalla schiava Serafia. Nella costruzione dell'edificio sacro furono utilizzate 24 colonne dell'attiguo tempio di Giunone Regina. Sotto papa Sisto III (432-440) proseguirono i lavori di costruzione della chiesa e, secondo la tradizione, proprio da Santa Sabina ebbe inizio la processione contro la pestilenza del 590, guidata da papa Gregorio Magno, durante la quale l’arcangelo Michele sarebbe apparso miracolosamente sulla sommità del Mausoleo di Adriano che, a memoria del prodigio, venne ribattezzato Castel S. Angelo. La chiesa fu restaurata nel IX secolo da Leone III ed Eugenio II fece eseguire diversi lavori di abbellimento e collocò sotto l’altare maggiore, dove tuttora si conservano, le reliquie della Santa e di altri martiri.
Dal 1219, quando la chiesa fu affidata da papa Onorio III a san Domenico di Guzman e al suo ordine di frati predicatori che fece costruire il chiostro e l’attiguo convento. Ancora ai nostri giorni il complesso di Santa Sabina è il quartier generale dell’ordine dei domenicani. L’aspetto medievale della chiesa fu profondamente rimaneggiato nel corso dei restauri condotti da Domenico Fontana nel 1587, per volontà di papa Sisto V, e poi di Francesco Borromini nel 1643: si ebbero la demolizione della schola cantorum, dell’iconostasi, del ciborio e la costruzione di un nuovo altare maggiore con baldacchino. I restauri condotti in due fasi, 1914-19 e 1936-37 da Antonio Muñoz,  portarono al totale ripristino della chiesa: furono eliminate le sovrastrutture barocche della chiesa e la riportarono alle forme originarie, tanto che attualmente rappresenta il tipo più perfetto di basilica cristiana del V secolo. Il campanile originario risale al X secolo, ma è stato profondamente modificato dai restauri seicenteschi. Scavi archeologici condotti nell’ottocento avevano intanto individuato due piccoli templi dell’età arcaica, tratti delle mura serviane, edifici d’età repubblicana e imperiale trasformati nel II secolo d.C. in un santuario di Iside, resti di un impianto termale e quelli di una domus del III-IV secolo che qualcuno volle identificare come la residenza della famiglia di Sabina.
gli esterni
La chiesa non ha facciata: essa è inglobata nel nartece, uno dei quattro bracci dell'antico quadriportico, che si trova attualmente all'interno del monastero domenicano. Uno degli accessi è situato nel fianco della chiesa che presenta un portico con arcate su colonne sormontato dalle finestre della navata laterale destra; qui sono conservati numerosi resti della basilica medievale. Si giunge così all’atrio ad arcate sorrette da otto colonne di età romana: qui sono visibili due fronti di sarcofagi romani rilavorati come lapidi cristiane. In fondo all’atrio si trova una statua seicentesca di S. Rosa da Lima. Gli ingressi della chiesa sono ora due, perché il terzo venne chiuso nel XIII secolo per consentire la costruzione del campanile.
L'ingresso principale è chiuso da un portale ligneo risalente al V secolo, che costituisce il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana; in origine era costituita da 28 riquadri ma ne sono rimasti 18, tra i quali vi è quello raffigurante la crocefissione, che è la più antica raffigurazione conosciuta di questo evento. Vi sono rappresentate scene dall'Antico e dal Nuovo Testamento, fra cui le storie di Mosè, di Elia, dell'Epifania, dei miracoli di Cristo, della Crocifissione e dell'Ascensione.

gli interni
L’interno della chiesa è a tre navate, divise da ventiquattro colonne corinzie scanalate che reggono archi. Su questi corre un fregio a marmi policromi d’età romana. Su ogni colonna sono insegne militari sormontate da una croce, a simboleggiare la superiore autorità della Chiesa sul potere imperiale. Sulla controfacciata vi è una grande decorazione a mosaico policromo, che riporta una iscrizione metrica a lettere d’oro, della quale è ritenuto autore s. Paolino da Nola, con la menzione di papa Celestino I e di Pietro d’Illiria. Ai lati dell’iscrizione vi  sono due grandi figure femminili simboleggianti l’Ecclesia di origine ebraica, che ha in mano l’Antico Testamento, e l’Ecclesia di origine pagana, che reca il Nuovo Testamento. Il mosaico era completato, in origine, lungo le pareti della navata, da figure di apostoli ed evangelisti, mentre sull’arco trionfale si trovavano le figure, ricostruite con affreschi moderni, della Gerusalemme terrena e celeste e del Cristo con gli Apostoli e i quattro evangelisti.
Il catino absidale, affrescato nel Cinquecento da Taddeo Zuccari ripropone, come nelle immagini dell’antico mosaico, Cristo assiso sul monte circondato dagli apostoli. Al centro della navata è la trecentesca lastra funeraria di Muñoz de Zamora, generale dei domenicani, unica a Roma per il ritratto a mosaico. Nella navata di destra, incassata nella parete, è una colonna romana appartenente alle fasi più antiche della chiesa. Di seguito si trova la cappella dedicata a S. Giacinto affrescata da Federico Zuccari con scene della vita del santo. Sull’altare è una tela con la Madonna e S. Giacinto, opera cinquecentesca della pittrice Lavinia Fontana. Segue il quattrocentesco monumento funebre del cardinale Auxia, della scuola di Andrea Bregno. Nel 1936 nel presbiterio è stata ricostruita, usando frammenti originali, l’antica schola cantorum. Nella navata sinistra si trova la cappella dedicata nel 1671 a S. Caterina da Siena: sull’altare è posta una tela di Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato con la Madonna del Rosario, S. Domenico e S. Caterina da Siena. Nella volta, Trionfo della santa, di Giovanni Odazzi. Nella parte di campanile visibile in fondo alla navata è ricavata una cappella, che custodisce una statua lignea cinquecentesca della Madonna col Bambino.
Leggende e Curiosità
Al ricordo di San Domenico sono legate due curiosità relative a questa chiesa. Nel chiostro si trova una pianta di arancio dolce, secondo la tradizione domenicana piantata nel 1220 da San Domenico, che in questa chiesa visse ed operò e nella quale ancora oggi si conserva la cella, trasformata in cappella. Si racconta che il Santo avesse portato con sé un seme dell’arancio dalla Spagna, sua terra d’origine, e che questa specie di frutto sia stato il primo ad essere trapiantato in Italia. L’arancio, visibile dalla chiesa attraverso un buco nel muro, protetto da un vetro, di fronte al portale ligneo, è considerato miracoloso perché, a distanza di secoli, ha continuato a dare frutti attraverso altri alberi rinati sull'originale, una volta seccato. La tradizione vuole che le cinque arance candite, donate da santa Caterina a papa Urbano VI nel 1379, siano state colte dalla santa proprio da questa pianta.

Sempre a San Domenico è legata anche la storia della pietra nera di forma rotonda su una colonna a sinistra della porta di ingresso: è chiamata Lapis Diaboli, ossia "pietra del diavolo" perché, secondo la leggenda, sarebbe stata scagliata dal diavolo contro san Domenico mentre pregava sulla lastra marmorea che copriva le ossa di alcuni martiri, mandandola in pezzi. In realtà la lapide fu spezzata dall’architetto Domenico Fontana durante il restauro del 1527 per spostare la sepoltura dei martiri. Egli poi gettò via i frammenti, successivamente ritrovati e ricomposti, oggi visibili al centro della schola cantorum.
Bibliografia:
Mariano Armellini-Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX-1891;
C. Rendina - Le Chiese di Roma-Newton Compton-2004;
Comune di Roma-www.060608.it;
Ministero degli Interni-Fondo Edifici per il Culto;
www.domenicani.net
© Sergio Natalizia - 2020
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